Raffaele De Rosa


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Raffaele De Rosa

Raffaele De Rosa nasce a Podenzana nel 1940, in una terra prossima all‘antica città di Luni e fino a sei anni vivrà in Lunigiana, il luogo dal quale sembra derivargli maggiormente la visionarietà della sua pittura. Dopo Pomarino e Pallerone è la volta di Napoli, in una casa vicino al cimitero di Poggioreale che lui ricorda come un giardino dei giochi; forse da questa reminiscenza nascono soggetti che ci riportano alla mente alcune opere di Arnold Böcklin. Elemento essenziale della biografia di questo artista è la circostanza di essere cresciuto dai nonni, con i quali continua il peregrinare degli anni dell‘infanzia. Lo troviamo a La Spezia dove la nonna lo obbliga allo studio del violino, convinta che la padronanza di questo strumento possa essere una sicura garanzia di sopravvivenza nell‘incerto futuro di ogni vita; riteneva infatti che un violinista avesse uno stipendio assicurato, anche all‘angolo della strada. Il nonno stalinista, la nonna cattolica fervente fino alla bigotteria; cresce isolato e impara a giocare da solo, si impegna nel pericoloso tentativo di trasferire il suo spirito in animali, oggetti, piante. Forse una vita anomala e travagliata prepara l‘animo all‘arte; in ogni caso De Rosa odia il violino e dipinge di nascosto, soprattutto disegna divenendo padrone di questa tecnica tipica della indigenza di tutti i grandi artisti, che poi la riterranno propria del loro intimo e del loro privato. A La Spezia riesce a frequentare un corso di decorazione. Intorno ai sedici anni arriva a Livorno e vi incontra un gruppo di giovani pittori insieme ai quali inizia a dipingere dal vero, poi con il collega e amico Pieri frequenta la Scuola Trossi dove vi sono i Maestri Gastone Benvenuti, Cocchia e lo scultore Guiggi; in questa scuola di neorealismo non riesce però a identificarsi. Una città come Livorno gli offre l‘amicizia di artisti già affermati; pittori onesti, forse troppo legati ai dettami del passato, come Lomi, Carraresi, Filippelli, Natali, Romiti che lo mettono in contatto con alcuni “galoppini” così come in vernacolo venivano chiamati mediatori e mercanti di lì. Di sicuro è apprezzato da alcuni di questi, visto che a diciannove anni conclude il suo primo contratto e va a Neuchàtel in Svizzera. Tornato a Livorno, la buona fortuna gli è ancora accanto nella persona del signor Stefanini, che per tre anni acquista con metodo tutta la sua produzione, offrendogli l‘opportunità di compiere serenamente le sue ricerche e scelte pittoriche. In questi anni è già a tutti gli effetti un pittore professionista; apre uno studio a Firenze e nel 1963 stipula un contratto con il signor Scarselli e con il mercante fiorentino Ruggero che stava trattando, tra gli altri, i dipinti di Ulvi Liegi e Puccini. Questa relazione durerà fino al 1972; intanto in quel medesimo periodo si era creata una collaborazione con il livornese Mario Mariotti, che nel 1969 organizza la prima mostra personale di De Rosa, presentata da Servolini alla galleria Bottega d‘Arte. Ruggero e Scarselli ne allestiranno un‘altra nel 1971 alla galleria Pananti di Firenze. Dopo la morte del mercante d‘arte Ruggero, si uniscono in società Mario Mariotti, Scarselli e il dottor Romano per gestire la produzione di questo pittore in continuo divenire, che infatti incoraggiano nella ricerca di una nuova tematica artistica. Nello stesso anno comincia a definire il suo stile più congeniale, quello della pittura fantastica. Richiami figurativi e letterari sono rintracciabili nell‘immaginario di De Rosa; dalle rappresentazioni surreali del mondo cavalleresco di Paolo Uccello, alle incisioni di Piranesi con le sue imponenti architetture, dalla levità fantastica dell‘Ariosto alla vena utopica della trilogia araldica di Italo Calvino. Ma tali richiami, come del resto la convivenza del mito greco col Medioevo, dell‘oriente con l‘occidente, del sacro con il demoniaco nascono e proliferano dal ricordo delle leggende popolari della sua infanzia in Lunigiana. Nel 1974 espone in numerose gallerie di Berlino e nuovamente alla galleria Pananti dove viene presentato dal poeta Alfonso Gatto. Siamo nel 1975 quando inizia a lavorare con la Graphis Arte di Giorgio e Guido Guastalla; saranno loro, in alcuni momenti affiancati da Toninelli di Milano, che lo faranno conoscere subito in campo internazionale; ben presto vi saranno mostre in tutta Europa per poi arrivare anche negli Stati Uniti e in Israele. Dopo dieci anni finisce l‘esclusiva con i Guastalla e in seguito a una mostra nel Chiostro del Museo di San Marco a Firenze, il pittore si lega alla Galleria Maggiore di Bologna. Nel 1989 lavora con la società Il Parnaso che gli allestisce mostre esclusivamente in spazi pubblici; da questa collaborazione nasce un notevole ciclo sia pittorico che di ricerca di carattere antropologico con un preciso riferimento al tema della “Veglia”; si desta l‘interesse di alcuni dei massimi specialisti della materia; il nome De Rosa inizia a circolare oltre che nelle gallerie anche nelle Università e nei musei. Negli anni ‘80 espone a Copenaghen presso l‘Istituto Italiano di Cultura (1982), è presente all‘Art Expo di New York (1981, 1982) con la galleria Graphis Arte, nel 1984 tiene una mostra a Gerusalemme e nel 1985 è a Parigi presso la Maison de l‘Unesco. Firma in questi anni esclusive con la galleria Maggiore di Bologna e con la Leonardo Arte di Roma. Nel 1989 la società Parnaso gli allestisce numerose mostre in spazi pubblici ed il suo nome comincia a circolare negli ambienti universitari suscitando interesse fra specialisti di Antropologia e di tradizioni popolari. Questo evidentemente non passa inosservato a Giovanbattista Bianco, noto mercante d’arte conosciuto per aver “lanciato” artisti del calibro di Xavier Bueno, Antonio Bueno e Remo Squillantini. Convinto dello stilema artistico del pittore, il signor Bianco inizia dai primi mesi del 1990 a gestire la pittura visionaria di Raffaele De Rosa. Nel 2003 espone al XXIV Festival “La Versiliana” e dal 2002 è in permanenza alla galleria Havens a Columbia in South Carolina. Nel 2003 tiene una personale alla Galleria d’Arte Brunetti intitolata “Alla ricerca del Graal e di altri tesori” (Ponsacco). Negli anni successivi espone delle personali in numerosi musei quali: al Young Museum a Mantova; al Palazzo dei Priori di Volterra e al Palazzo Orsini di Viterbo. Nel 2017 espone una bellissima antologica nella Villa Rolandsek a Remagen in Germania, nello stesso anno è in mostra presso il Teatro Politeama Garibaldi a Palermo con la mostra “Il mito contemporaneo”. Negli ultimi anni espone in importanti gallerie a Anversa, Roma, Firenze e Venezia. Nel 2019, in collaborazione con ArtItaly e il Comune di Pietrasanta, è protagonista della mostra “Un viaggio fantastico” nel complesso di S. Agostino a Pietrasanta. Quest’ultima mostra è ispirata interamente e fantasticamente a “La battaglia di Anghiari”, famoso dipinto mai realizzato di Leonardo Da Vinci. CRITICA Si sono interessati alla sua opera i critici Paolo Levi, Tommaso Paloscia, Nicola Micieli, Domenico Guzzi, Renzo Margonari, Alfonso Gatto, Marcello Venturoli.